giovedì 12 febbraio 2009

track 3_In circle: the storyline

Chapter II - "Under the rain"
Track 3_In Circle


Un pensiero solo comincia a insinuarsi nella mente di Will: una vita che gira a vuoto, in una spirale senza senso che avvolge tutto e tutti per lasciarci soli e insoddisfatti nell'occhio del ciclone, è una vita che non può valere niente.
Mentre la pioggia comincia a cadere incessante, e il cielo si oscura, la testa di Will comincia a girare vorticosamente dietro a questo pensiero, quasi insieme con lui, al ritmo serrato delle onde che si infrangono con sempre maggiore veemenza sugli scogli. Il fragore dei flutti si accompagna a quello dei mille rimorsi e dei mille rimpianti che il passato prende a ripresentargli dagli anditi reconditi di quelle mille occasioni che la vita gli ha messo davanti, e che egli sente di aver in qualche modo irrimediabilmente perduto. In un solo istante, Will si rende conto che ormai egli stesso è perduto, e che non potrà più tornare indietro. L'insistenza di quel pensiero rende ogni resistenza inutile e intollerabile: Will realizza immediatamente di aver commesso un errore, un errore fatale. Non si sarebbe mai dovuto lasciare andare in quel modo. Non avrebbe dovuto perdere il controllo...non avrebbe mai dovuto abbandonarsi a sé stesso in quella maniera persa e selvaggia, annientante, sconfortante. Da tempo aveva giurato a sé stesso di non provarci mai più. Troppe volte si era già trovato sull'orlo dell'abisso, sull'orlo di domande che non avrebbero avuto la speranza d'una qualsiasi risposta. Il controllo era tutto. Non si sarebbe potuto mai fingere per davvero se non si fosse risuciti a credere fermamente in quella finzione più che nella realtà. Will questo lo sapeva bene. Ma in quel momento non poteva reggere, aveva passato il limite. C'erano domande che non si dovevano fare. Cose che non si dovevano neanche sfiorare. Sensazioni che non si doveva assolutamente provare. Bisognava ogni volta fermarsi al momento giusto, senza andare mai troppo oltre.
Il compromesso, Will, il compromesso. Una lotta senza più quartiere. E anche stavolta, si sarebbe dovuto fermare. Si sarebbe dovuto imporre di fermarsi. Non doveva rimanere con sé stesso così a lungo, così a fondo, così inerme, così distante dalle creature la cui realtà veniva solo dalla sua mente.
Ma quella volta, quella volta, lui non seppe fermarsi. Si sentiva così "reale", lì, solo davanti al mare. Forse aveva passato il segno. Forse tutto quello sarebbe stato da giustificare. Forse andava avanti da troppo tempo, e di più non avrebbe potuto fare. Ma non avrebbe dovuto sondare la sua anima fino a quel punto. Avrebbe dovuto lasciar perdere. Eppure, non lo fece. Il veleno era già in circolo. Lo sentiva scorrere forte nelle sue vene, nelle profondità più infami della sua anima nera e confusa, lo sentiva battergli nelle tempie, crescere nel suo cuore in un battito in preda al più assurdo furore. Sapeva ormai che sarebbe stato un viaggio senza ritorno. Che non avrebbe a quel punto potuto opporre davvero alcuna resistenza. Presentiva che sarebbe naufragato senza scampo, in quel mare senza sponde né orizzonte, che pareva ormai chiamarlo a sé, anche lui gonfio d'ansia e di furore, forte e incessante come un incubo cui nessuna logica può sperare di dare delle risposte. Quel veleno era in circolo. Non avrebbe potuto fermarlo. Quella stessa ingannevole realtà che egli stesso aveva confezionato cominciava a perdere consistenza, a perdere vigore, a scontrarsi, ad infrangersi e a sfrangiarsi contro qualcosa che l'avrebbe completamente distrutta nel giro di pochi istanti. Quell'inerzia di mediocrità cui si era abbandonato non solo poteva essere spezzata, ma doveva esserlo. Ormai sarebbe bastato solo un piccolo ma deciso atto di volontà, un solo passo nell'abisso, e indietro lui non sarebbe più tornato. Ormai il germe del dubbio, della delusione e del disincanto si era insinuato. Bastava una piccola, impercettibile crepa, per far crollare il palazzo. Il black out era infatti cominciato. Quell'inquieta smania d’infinito, covata a lungo nel regno dei sogni e delle false ipotesi, si era infilata ormai in ogni angolo della realtà. La sua spersonalizzazione, la sua moltiplicazione, la sua piccola egocentrica irrefrenabile rivoluzione personale, tutto era già in atto. Le voci nella sua testa si fanno più insistenti. Urlano, strepitano, si agitano, si confondono, emergono, riaffondano. Sono tutti quei Sè che Will aveva covato dentro giorno dopo giorno, tutti i suoi scheletri nell’armadio che egli aveva pazientemente accumulato nello spazio di una vita. Ma la tempesta era arrivata ormai, e travolge tutto.
Arriva la botta, la rabbia, la frustrazione, per una vita passata solo ad aspettare e ad abbozzare, ad aspettare gli alti e i bassi, ad adeguarsi al socialmente utile, condiviso, giusto, a dimenticare il proprio istinto.
Anche qui il mare, con la sua distesa sconfinata che si apre alla tempesta davanti agli occhi invasati di Will, gioca la sua parte importante: il gioco della marea lo suggestiona, e gli richiama alla mente, mentre l’acqua si abbassa fin quasi a confondersi con la nuda sabbia, la sua vita d’abbandono e di resa, quel suo lasciarsi andare alla corrente, nella sua finta atarassia dei giusti…Con la bassa marea tutto ciò che l’oceano ha nascosto riemerge gloriosamente ed impietosamente: le conchiglie più belle, assieme agli orrendi calcinacci. Tutte le scorie riemergono. Ma riemergono anche le voglie e i sogni più vivi. Il veleno ormai è in circolo. La seduzione è iniziata. Will viene tentato oramai dai suoi stessi alter ego, da quelli che aveva nascosto fino a quel momento per ingraziarsi il mondo. Sente che essi prendono possesso dei suoi nervi, dei suoi sensi, della sua ragione. E, alla fine, è costretto a cedere alle loro lusinghe. Ormai, ha deciso. Il passo è stato fatto. Il dado è tratto.
Vivrà senza limiti tutto sé stesso, anche a costo di perdere tutto. Solo così egli sente che potrà raggiungere l'unica vera pace che è stata concessa agli uomini, che è la pace dei sensi, l'unica in grado di aprire le porte dell'unica vera vita. Niente di quello che aveva messo in piedi nella sua viziosa opera di ipocrisia gli pare ormai abbastanza forte da trattenerlo. E' più forte di lui. Non può che lasciarsi andare. Pronto a sfidare tutto e tutti, a travolgere gli déi e gli uomini, pur di affermarsi e vincere un nuovo Sé stesso. Pronto ad esplorare la propria mente e il proprio corpo fino all’inverosimile, oltre ogni barriera possibile. La vita è “finita”? Will è pronto a passare per tutti i maledetti finiti punti di questa stramaledetta vita. Pronto a lasciare il segno, il segno di essere entrato in comunicazione, o perlomeno in collisione, con tutto quello che lo circonda, e di aver perciò vissuto tutto, nel bene e nel male, e anzi al di là del bene e del male.

Se la vita non vale niente, perché non fa che deluderci, tanto vale sfidare pure la morte. Vivere al confine, sulla lama del rasoio. Perché frenare, se tanto la strada finirà comunque contro un muro? Almeno, si muore dopo aver conosciuto, dopo aver toccato, dopo aver sentito. Anche dopo aver sofferto, certo, sì, ma perlomeno dopo aver sentito come un dio, cazzo, dopo esserglisi avvicinati il più possibile a questo dio, al costo di passare per lle fiamme dell'inferno per arrivare al suo maledetto paradiso...